mercoledì 12 dicembre 2012

Le stelle del Lohengrin illuminano Sant'Ambrogio

Venerdì 7 dicembre ero là, in loggione, tra les enfants du paradis! (360 euro). 
Un Lohengrin da sogno, ma andiamo con ordine.
Barenboim: non dirige "benino" come scrive Paolo Isotta sul Corriere, ma "benone"! per la serata mi ero diligentemente preparato e avevo ascoltato il Lohengrin diretto da Kempe: probabilmente il migliore in disco. Barenboim non ha a disposizione i Wiener Philharmoniker ma compie un piccolo miracolo di compattezza sonora e sintesi narrativa. Racconta bene l'opera e accompagna i cantanti come meglio non si potrebbe: non si è persa una parola dei cantanti e ed ha avuto momenti straordinari come l'accompagnamento soffuso e intensissimo di "in fernem Land".  Una prova maiuscola che conferma quanto si è sentito recentemente nel Siegfried. 
Kaufmann, Lohengrin: semplicemente il miglior Lohengrin che ho ascoltato dal vivo (e non solo). Perfetto nel tratteggiare un eroe con la voce e un uomo fragile nella recitazione. Non saprei immaginare un "in fernem Land" migliore. In teatro era da brividi assoluti con un pianissimo sussurrato che arrivava su su fino al loggione, timbratissimo, celestiale. Chi lo ha ascoltato per radio o in TV non può che avere un'dea molto pallida, provate a immaginare
Annette Dasch, Elsa: ha avuto la serata della vita (anche se una cantante della sua fama non ne aveva bisogno). Come ha fatto a imparare tutto così in poche ore? come è riuscita a dare una così piena interpretazione anche delle intenzioni del regista? Qualcuno in loggione ha criticato la sua voce un po' bianca, ma Elsa non è la passione, Elsa è, se non "l'oca di Brabante" come taluni amano definirla, un giovane donna colpita da una tragedia di cui si sente comunque colpevole. M quando, nella notte nuziale, tira fuori le unghie e incalza lo sposo con la domanda proibita, ecco che la Dasch mostra un temperamento quasi ferino; e prima ancora, quando respinge Ortrud che la offende sulla strada della cattedrale di venta a tutti gli effetti la duchessa di Brabante, nobile, altera. Un bel 10 anche a lei.
la Herlitzius, Ortrud:  una maga insinuante che trasforma Telramund in un burattino ed Elsa in una bambola nelle sue mani. Vocalmente è stata la sorpresa della serata: una prova così pulita e priva di sbavature non l'avevo mai sentita da parte sua. Come attrice mi sento di dare ragione al blog "in fernem Land" (destino nel nome?) dove si dice che assomiglia a Bette Davis. Tutto vero. Aggiungo che nel duetto con Telramund nel II atto, aveva una carica erotica e sadomaso che altro che 50 sfumature di grigio!
Purtroppo però c'era Tomasson, Telramund: nel primo atto mi è piaciuto, poi è crollato: in teatro era quasi inascoltabile.  Pape: chi altri potrebbe interpretare Heinrich meglio di lui? Nobile, regale, senza nessuna traccia di barbara rozzezza. Perfetto anche perchè rappresentava un re dell’ottocento, vista la regia. 
Lucic, l'araldo: l’ho recentemente sentito in Rigoletto con Dudamel (splendido direttore sinfonico e pessimo direttore d'opera) e non mi era piaciuto: vocina piccola, poco fiato e rozzo, nonostante l’uso dell’edizione critica (al Met, in video, era un altro, ma erano i microfoni della registrazione a fare miracoli!). Come araldo manca di nobiltà, ha una voce soffocata e non svetta.
L’orchestra della Scala dimostra di essere lo strumento ideale che è da molti anni. Certo che se il confronto lo facciamo con i Wiener, i Berliner o S. Cecilia (quanto sono cresciuti i Ceciliani con Pappano!), allora il discorso cambia, quisera l’orchestra era galvanizzata da Barenboim: era veramente il prolungamento della sua bacchetta. Qualche piccola defaillance (un corno entrato fuori tempo e forse poco altro) c’è sempre in un’esecuzione vibrante. Il coro è sempre il miglior coro lirico di oggi, non solo in Italia: l’impatto sonoro e la compattezza erano, in teatro, impressionati.
La regia: Paolo Isotta la ha definita scandalosa, ma a me non è parsa tale. Alcuni momenti sono stati splendidi (l'apparizione di Lohengrin in posizione fetale, il duetto Ortrufd Telramund e tutto il terzo atto) e faceva venire voglia di seguirla. Però mancava di immediatezza: senza leggere le note di regia c'era il rischio di faticare a comprenderla, e la mancanza del biancore accecante di Lohengrin si sentiva non poco. Le scene avevano il pregio di proiettare le voci , ma il caseggiato marrone non era proprio una bellezza. Molto interessante la foresta e il pontile sul fiume dove Lohengrin ed Elsa (non) consumano la notte nuziale. Tre cose sono state molto oscure: il pianoforte, forse simbolo di una borghesia ottocentesca  (ma Ortrud che bacchetta Elsa per un errore è stata impagabile), l'onnipresenza di piume di cigno (forse il regista voleva farsi perdonare per la mancanza del cigno intero?) e la sedia da arbitro di tennis nel primo atto che mi ha fatto temere il duello avvenisse in tre set (per fortuna così non è stato). 
Costumi di gran classe e perfettamente in linea con la regia e luci comme il faut.
Per finire due note di colore: le autorità sono entrate a luci spente e alla chetichella; questo la dice lunga sul clima politico italiano.  E poi l’inno alla fine: l’inno nazionale si esegue per protocollo se c’è il capo dello stato: e Napolitano non c’era. Monti, con tutto il rispetto, non ne ha diritto, è solo il capo del governo. Se l’idea è stata di Barenboim per cementare l’unità degli italiani: molto bene. Se, come pare, l’ha chiesto Monti… beh, mi sembra un po’ autocelebrativo… Pensate se lo avesse chiesto Berlusconi! Il nazionalpopolare lasciamolo alla RAI,  la scala resti uno dei pochi luoghi in cui si fa cultura.